Dagli antichi greci fino ai viaggiatori dell’800, la Sardegna è sempre stata considerata un’isola mitica, florida, terra promessa ricca di boschi, acqua e risorse naturali.
Improvvisamente, verso la fine dell’800, l’immagine dell’isola si trasforma: terra brulla, inospitale, priva di risorse naturali e senza storia. Elemento geografico e umano si mescolano in una sorta di impietoso determinismo: la Sardegna altro non poteva forgiare che uomini rudi e vendicativi, dediti alla pastorizia e al banditismo.
L’isola mitica del passato è cancellata: la Sardegna è sempre stata così, arida e povera. Uno sguardo esterno che finisce per essere interiorizzato anche dai sardi al punto che, nel dopoguerra, con la petrolchimica e le servitù militari che premevano alle porte, nasce una concezione di Sardegna funzionale alle politiche economiche e statali dell’epoca. Una terra vuota, priva di storia, di cultura, di risorse naturali, pronta ad accogliere un ingombrante modello di sviluppo di importazione.
Per paradosso, esattamente il contrario di ciò che la Sardegna è in realtà.
Ma cos’era successo in quegli anni in Sardegna?
Questo libro racconta i mutamenti che, a partire dai primi dell’800 e dal famigerato Editto delle Chiudende, hanno trasformato non solo l’ecologia dell’isola, ma nel profondo anche il rapporto dei sardi con la loro terra e con le risorse naturali.
È stato calcolato che, in quel periodo, i boschi della Sardegna si siano ridotti di almeno quattro quinti. È un disboscamento di mera speculazione, industriale, mercantile, che non va confuso con la normale agricoltura e la fisiologica dialettica tra attività tradizionali e bosco. Il bosco, fino ad allora organismo portatore di vita e di una complessa carica simbolica, viene abbattuto, e ridotto a mero giacimento di legname. Con la radicale trasformazione ecologica si perde un intero mondo; è uno stravolgimento antropologico, che spezza il legame simbolico e funzionale tra gli esseri umani e la terra e li rende sempre più simili ad oggetti, a merce da comprare e vendere come forza lavoro.
La Sardegna entra così nella modernità, nell’economia di mercato. Con le vaste distese lasciate libere dal disboscamento giunge la monocoltura ovina, creando una nuova dipendenza dal mercato estero. Una dipendenza che permane e che rende la Sardegna, ancora oggi, vulnerabile alle attuali incombenti e drammatiche forme di speculazione, in triste continuità con il passato.
Fiorenzo Caterini
Fiorenzo Caterini, 47 anni, cagliaritano d´origine ma residente a Tempio Pausania, Ispettore del Corpo Forestale e Vigilanza Ambientale, ha ricoperto per anni l´incarico di responsabile della Sezione di Polizia Giudiziaria presso la Procura della Repubblica di Tempio Pausanis, dove ha condotto numerose inchieste giudiziarie di natura urbanistica, paesaggistica, ambientale. Attualmente riveste l´incarico di Comandante della Stazione Forestale di Luogosanto.
Ha conseguito la Laurea in Scienze dei Beni Culturali e la Laurea Specialistica in Antropologia Culturale, entrambe con il massimo dei voti.
Attivo in campo ambientale e culturale e appassionato di sport all´aria aperta (è stato più volte campione regionale di Triathlon) e di escursioni, da sempre si interessa delle problematiche ambientali dell´isola, abbinando le competenze professionali con gli studi storici, geografici e antropologici.
In particolare, tra le altre cose, si è interessato alla problematica della sentieristica naturale nell´Isola, fondando insieme ad altri appassionati l´associazione ´Asfalto? No Grazie!´ per la tutela delle strade storiche e dei sentieri a fondo naturale di interesse ambientale e paesaggistico.
Lo studio sul disboscamento della Sardegna rappresenta la sintesi di un lavoro che ha unito felicemente l´ambito scientifico del Dipartimento delle Scienze Umane presso l´Università di Sassari, diretto dal prof. Mario Atzori, con le esperienze professionali nel Corpo Forestale e Vigilanza Ambientale.